È possibile togliere un po’ di dolore ad un evento doloroso? Si può anestetizzare un trauma, soprattutto se questo continua a influire sulle nostre vite e sulle nostre scelte? Esiste dunque un modo di renderlo innocuo?
L’EMDR potrebbe essere una risposta a queste domande.
L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una tecnica sviluppata circa trent’anni fa negli Stati Uniti da Francine Shapiro. Nasce come trattamento utile alla cura del Disturbo Post-Traumatico da Stress, cioè di chi ha vissuto uno o più eventi traumatici gravi quali aggressioni, abusi, violenze fisiche o psichiche, incidenti, catastrofi.
A lungo termine, l’EMDR è stato sperimentato con successo anche in situazioni che presentano altre tipologie di problematiche più comuni e ricorrenti come fobie, disturbi di ansia in generale, lutti, disturbi alimentari, disturbi del sonno, malattie e stati stressanti.
Quando subiamo un trauma, il cervello riceve una grossa mole di informazioni (pensieri, emozioni e sensazioni fisiche) che non riesce ad elaborare e immagazzinare secondo la procedura consueta. Anche se il nostro cervello è programmato per affrontare e superare efficacemente questo genere di incidenti di percorso, a volte il sovraccarico provoca il congelamento dell’informazione nella sua forma ansiogena originale, ossia quel preciso ricordo resta sempre uguale, fermo nell’attimo in cui l’evento è stato vissuto. L’informazione, così fissata e imprigionata nelle reti neurali, non può essere elaborata e quindi continua a essere disturbante: il dolore resta sempre lo stesso, anche a decenni di distanza.
L'utilizzo dell'EMDR in psicoterapia si propone di desensibilizzare i ricordi traumatici del paziente, attraverso movimenti ritmici degli occhi, oppure con tamburellamento delle dita o stimolazione sonora, al fine di permettere una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali: in questo modo l’esperienza traumatica può essere affrontata in sicurezza, mettendo da parte per un attimo il dolore legato a quell’episodio; in questo modo il paziente percepisce quel ricordo in modo nuovo, libero dalla componente disturbante ad esso legata.
Seguire con gli occhi le dita del terapeuta consente dunque al paziente di collegare il ricordo traumatico a reti di memoria più ampie e, attraverso le varie fasi della procedura, l’individuo sarà aiutato ad integrare quell’evento nella sua storia, ma a non essere più emotivamente disturbato dal ricordo.
Il terapeuta aiuterà il paziente a trasformare la cognizione negativa che ha sviluppato su di sé in relazione a quel trauma (non valgo, sono sbagliato, sono incapace, sono cattivo, non vado bene) in una positiva, ossia ciò che alla persona piacerebbe pensare di se stessa ritornando su quell’evento: in questo modo potrà definire una visione alternativa del trauma.
Non si tratta di ipnosi perché il paziente è perfettamente cosciente per tutta la durata del trattamento. E non è neanche una procedura da accogliere con lo scetticismo con cui talvolta ci si rapporta con le tecniche relativamente nuove: infatti, grazie alle numerose prove scientifiche e ai dati concreti sulla sua efficacia, nel 2013 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto valida questa tecnica per il trattamento e la cura del trauma e dei disturbi ad esso correlati.
Non si può cancellare il ricordo di un trauma, ma si può fare in modo che il paziente acceda ad esso in modo costruttivo, senza scatenare un doloroso disagio emotivo.
Dott.ssa Elena Paiuzzi - Psicologa e psicoterapeuta a Alessandria
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Ultima modifica: 10/06/2016
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