Quando si parla di suicidio si sa che gli adolescenti sono tra i soggetti più vulnerabili. Le evidenze però diventano ancora più spaventose se si prende in considerazione chi appartiene a una minoranza sessuale. Infatti si stima che gli adolescenti LGBQ abbiano una probabilità 5-7 volte maggiore (rispetto agli altri loro coetanei) di ideazione suicidaria. Non solo, i loro tentativi di suicidio sono in media più gravi e hanno anche una maggiore probabilità di richiedere cure mediche.
Com’è possibile?
Andiamo a vedere come questo accade, partendo proprio dai trattamenti terapeutici utili per ridurre l’ideazione suicidaria. Effettivamente molti di questi trattamenti, anche se pensati per gli adulti, hanno avuto successo anche negli adolescenti. Un esempio è la terapia comportamentale dialettica (DBT), sviluppata, in origine, per adulti cronicamente suicidari, soprattutto con diagnosi di disturbo borderline di personalità.
Questa terapia unisce strategie cognitivo-comportamentali a mindfulness: se il cambiamento è possibile solo attraverso l’accettazione della sofferenza, lo scopo del trattamento è lavorare sulla tensione dialettica tra accettazione e cambiamento.
La DBT ha ottenuto risultati buoni con gli adolescenti in generale, ma con quelli LGBQ potrebbe non essere così efficace, anche se i dati in merito non sono sufficienti per formulare una teoria.
Basti sapere però che questa terapia interviene sulla disregolazione emotiva (implicata in molte psicopatologie). Quest’ultima dipende sostanzialmente da due fattori: la transazione dell’invalidazione ambientale e il temperamento biologico.
Di solito le minoranze sessuali mostrano difficoltà più elevate nella regolazione delle emozioni a causa della loro esposizione a persistenti esperienze – culturali e sociali – di invalidazione, discriminazione.
Essi, per esempio hanno una probabilità maggiore di essere vittime di bullismo o cyberbullismo. Inoltre è noto che l’accettazione famigliare (o la sua mancanza) può avere un impatto significativo sugli esiti di salute mentale. Infatti i giovani adulti LGBQ hanno una probabilità 8 volte maggiore di tentare il suicidio, se hanno riferito di aver sperimentato alti livelli di rifiuto famigliare durante l’adolescenza.
Dunque la terapia comportamentale dialettica si presenta in questi casi come un’arma a doppio taglio perché fa leva sugli stessi fattori (come il coinvolgimento della famiglia) che potrebbero potenzialmente interferire con l’efficacia del trattamento.
Ora non stiamo dicendo che la DBT non abbia alcun effetto sugli adolescenti LGBQ, spesso essi ne hanno tratto benefici, soprattutto sui sintomi della sfera della regolazione delle emozioni, ma resta il fatto che il campione di ricerca è troppo piccolo per porre delle basi sicure.
Quindi potrebbe essere opportuno che i medici si avvicinino alle esigenze specifiche degli adolescenti LGBQ implementando il modello della terapia comportamentale dialettica già in uso con i loro coetanei eterosessuali.
Dott.ssa Elena Paiuzzi - Psicologa e psicoterapeuta a Alessandria
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Ultima modifica: 10/06/2016
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