Il Disturbo di Panico (DAP), caratterizzato da manifestazioni intense e potenzialmente invalidanti, è uno dei disturbi d’ansia più frequenti.
Si stima che circa un quarto della popolazione ha avuto almeno un attacco di panico nella vita.
Le donne sono più colpite rispetto agli uomini, in rapporto 2:1.
Se non trattato, il decorso del disturbo potrebbe essere cronico.
L’ansia, a livelli “normali”, è tutt’altro che patologica, anzi, consente di riconoscere facilmente e rapidamente un pericolo e “attiva” le risorse appropriate per fronteggiare la situazione.
Diviene patologica quando presente in maniera eccessiva al di fuori di un contesto realistico di allarme e di minaccia.
L’attacco di panico è una manifestazione d’ansia estremamente intensa, breve e transitoria. È caratterizzato dalla comparsa improvvisa di paura o disagio molto intensi in cui l’individuo avverte una serie di sintomi che non riesce a comprendere (come tachicardia, sudorazione, tremori, paura di perdere il controllo…). Non è paragonabile, per intensità dei sintomi, con la normale manifestazione della paura, dell’ansia o della preoccupazione quotidiana.
L’attacco di panico, in particolar modo la prima volta, sopraggiunge in maniera inattesa, come un “fulmine a ciel sereno”. Spesso, i primi attacchi compaiono quando il soggetto si trova in situazioni in cui non è semplice chiedere soccorso e non ci si può muovere agevolmente (per esempio in autobus, in macchina…). Raggiunge l’apice rapidamente (di solito in meno di dieci minuti) e la persona ha la sensazione che stia avvenendo qualcosa di grave a livello biologico (come un attacco cardiaco o un ictus) o psicologico (come perdere il controllo o impazzire). La persona può credere di essere sul punto di morire, tanto da recarsi al pronto soccorso.
In seguito ai primi attacchi, chi ne è colpito spesso inizia a temere che quell’evento così inaspettato possa ripresentarsi, senza poter controllare la situazione. Queste reazioni di disagio e sofferenza possono raggiungere un livello clinicamente significativo: il disturbo di panico.
Il disturbo di panico è quindi dato dalle esperienze di attacchi di panico inaspettati e ricorrenti, a cui seguono, per un periodo di almeno un mese, persistenti preoccupazioni di poter avere un nuovo attacco con significative alterazioni del proprio comportamento, come evitamento o bisogno di farsi accompagnare nei luoghi temuti. Il bisogno di farsi accompagnare da qualcuno nel luogo o situazione dove sono avvenuti i primi attacchi può portare all’agorafobia, un cluster di paure caratterizzato dal timore che sia difficile fuggire o ricevere soccorso in caso di malessere, nel caso si verificassero i sintomi di un attacco di panico, o nel caso in cui insorgano sintomi invalidanti o imbarazzanti.
Sono due gli elementi principali che si influenzano e si rinforzano reciprocamente in questo disturbo: l’ansia e l’interpretazione catastrofica dell’ansia. Ai primi segnali e sintomi di ansia, infatti, la persona può percepire che la situazione stia precipitando (interpretazione catastrofica dell’ansia). Questo, come un circolo vizioso, può far sentire ancora più in ansia, con un conseguente incremento dei sintomi. In sostanza, può accadere che i sintomi dell’ansia possano diventare a loro volta motivo di ulteriore ansia.
Come negli altri disturbi d’ansia, anche nel disturbo di panico gli aspetti cognitivi (per esempio le aspettative catastrofiche), gli aspetti comportamentali (per esempio l’evitamento) e gli aspetti fisiologici (per esempio la tachicardia, il senso di mancanza d’aria) sono strettamente associati fra loro e concorrono a creare questo circolo vizioso che si mantiene nel tempo.
Spesso, nel corso del tempo, a seguito dell’interpretazione catastrofica dell’ansia, la persona può diventare “sensibile” a luoghi e situazioni dove ha sperimentato attacchi di panico e mettere in atto importanti evitamenti. Il luogo nel quale la persona ha sperimentato un attacco di panico può venire, infatti, connotato negativamente. La persona può tendere ad evitare quel luogo che viene considerato potenzialmente rischioso, con lo scopo di non rivivere esperienze sgradevoli o dolorose. La persona, quando inizia ad evitare luoghi o situazioni, rischia, così, di tendere a farlo sempre di più e può arrivare a restringere il proprio “campo di azione” in maniera sempre più invalidante.
Questo meccanismo, noto come evitamento, è l’elemento principe del mantenimento del disturbo di panico. L’evitamento riduce drasticamente l’ansia che il soggetto prova nella situazione attuale, ma diventa un elemento che, a lungo termine, rinforza il disturbo.
L’evitamento porta, inoltre, a un ritiro progressivo e ad una limitazione di vita, con possibili conseguenze negative per il lavoro e per gli affetti della persona e può provocare un senso di frustrazione, ridotto tono dell’umore e calo dell’autostima.
Secondo le linee guida del National Institute of Clinical Excellence (NICE), il trattamento più efficace per il disturbo di panico è la Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, che a lungo termine ha una percentuale di efficacia dal 75% al 94%. Nei casi particolarmente invalidanti è possibile associare un’eventuale terapia farmacologica. La psicoterapia ha l’obiettivo di ottenere e rendere duratura la riacquisizione di un’adeguata autonomia del soggetto.
Il terapeuta cognitivo-comportamentale insegna al paziente a combattere ciò di cui ha paura, fornendogli di strumenti che gli permetteranno di essere sempre più autonomo nel fronteggiare i sintomi ansiosi e ridurre gli evitamenti.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale aiuta il soggetto a:
Attraverso la psicoterapia cognitivo-comportamentale il paziente riesce a modificare la percezione della situazione vissuta aumentando la percezione della propria capacità di fronteggiare la situazione stessa.
Dott.ssa Elena Paiuzzi
Psicologa e psicoterapeuta - Alessandria
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Ultima modifica: 10/06/2016
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